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Il Teatro

Presso gli archivi SIAE (sezione Drammi, Operette e Riviste) sono registrati, in una scheda personale scritta a mano, 69 lavori a firma Raffaele Cutolo, 42 dei quali indicati come «rivista» e 19 come «scenetta», in un arco di tempo che va dal 30 settembre 1938 al 20 marzo 1958, se si esclude un’ultima rivista «Spogliarello in platea» registrata in data 27 luglio 1963.


Nell’elenco compaiono anche un’opera di cabaret («Serafina», 1948), uno «scherzo canoro» («Casanova Bar», 1938), una farsa («Si recita in casa Coppilecchio», 1943), quattro «radioscenette» («Le cento fatiche di Ercole e Gennarino», per «Rosso e Nero», 1953) e una radiorivista («Spessa e Piero», 1953).


L’elenco, tuttavia, pur rispecchiando evidentemente le dichiarazioni dei soggetti firmatari dei bollettini di denuncia delle singole opere, appare impreciso e incompleto.


Ecco un elenco di titoli mancanti, con relativo supporto documentale:


Turillo il Nippolo farsa (data imprecisata) - Dattiloscritto

’A gelusia sceneggiata (data imprecisata) - Locandina

Le strade di questa città collaborazione a rivista di Mario Cotone (data imprecisata) - Locandina

Piedigrotta in frak n.2 rivista con Antonio Viscione - Vian (1951) - Ritaglio stampa

L’indimenticabile agosto dramma, riduzione da Umberto Morucchio (1955) - Programma 

Sette note per tanti... motivi collaborazione a rivista di Mario Cotone (1955) - Ritaglio stampa

Qui sopra

La copertina del dattiloscritto di «Turillo il Nippolo»

Qui sopra

Il programma di «Indimenticabile agosto» 

A sinistra

La locandina di «’A gelusia»

Le riviste di maggior successo

Scampoli

1944 (con la collaborazione di Nino Taranto, Enzo Turco, Epifani)

con Nino Taranto , Enzo Turco , Dolores Palumbo

Debutto: Roma, Teatro Quattro Fontane

Guarda il programma

Scampoli (1.367 Kb).pdf

Ma pensiamo un po’ a cantare

1945 (con la collaborazione di Manfredi Cotone)

con Alberto Rabagliati, Elena Grey, orchestra di Nello Segurini

Debutto: luglio 1945, Roma, Teatro Splendore

È tornata la luce in città

1945 (con la collaborazione di Pambianchi)

con Dante Maggio , orchestra di Nello Segurini

Debutto: 4 settembre 1945, Roma, Teatro Splendore

Com’era verde la nostra valle

1946 (con la collaborazione di Nino Taranto, Alfredo Polacci, 

Luigi Pisani)

con Nino Taranto, Dolores Palumbo

Debutto: 21 settembre 1946 , Milano, Teatro Lirico Guarda il programma

Com'era verde la nostra valle (1.364 Kb).pdf

A Terronia si canta così

1947 (con la collaborazione di Simonetti, Marchionne, Consalvo)

con Renato Rascel

Debutto: Roma, Arena Cosmo

Ma il sole è nostro

1947 (con la collaborazione di Elena Pennisi)

con Tecla Scarano, Carlo Campanini, Giuseppe Porelli

Debutto: 4 novembre 1947, Napoli, Teatro Mercadante Guarda il programma

Ma il sole è nostro (388 Kb).pdf

Quando spunta la luna in Italy

1949 (con la collaborazione di Mario Amendola, Ruggero Maccari, Mario Mangini, Francesco Cipriani Marinelli)

Settimana... in tram

1951 (con la collaborazione di Consalvo)

Debutto: 1951, Roma, Teatro Bernini

Anche stasera si prova

1954 (con la collaborazione di E. Musy)

Debutto: 24 febbraio 1954, Roma, Casina delle Rose (?)

Guarda il programma

Anche stasera si prova (712 Kb).pdf

Questo elenco di opere è stato ricostruito in base ai ritagli stampa disponibili 

e alle dichiarazioni depositate presso la SIAE. 

Queste ultime, tuttavia, non sempre corrispondono alla realtà, 

essendo frutto di accordi tra i dichiaranti, 

che talvolta non corrispondono ai reali autori dell’opera.

Saranno graditi tutti i contributi in grado di chiarire 

non solo la titolarità artistica, ma anche le date 

e ogni altro dato utile ad una maggiore precisione dell’elenco.

Qui sopra

Dolores Palumbo, Raffaele Cutolo, 

Nino Taranto e Enzo Turco

A destra, in alto 

Giuseppe Porelli , Tecla Scarano, Raffaele Cutolo e Carlo Campanini durante le recite 

di «Ma il sole è nostro»

Qui a destra

Raffaele Cutolo in scena per «Autori alla ribalta», un originale spettacolo che portava 

sul palcoscenico gli autori delle riviste 

di maggior successo dell’epoca

Alcuni sketch di maggior successo

Siamo il popolo che applaudisce

(Parodia sulla musica di «Campagnola bella»)

La parodia di «Reginella campagnola» che conclude lo sketch, inserito nella rivista «Come era verde la nostra valle» (1946), è un testo che ironizza sul proliferare dei partiti dell’immediato dopoguerra, sui loro imprevedibili (ed effimeri) successi, ma soprattutto sulla facilità con cui gli Italiani, usciti dalla dittatura fascista, fossero pronti a regalare a chiunque «si affacciasse» (con un riferimento palese al balcone, più che alla scena politica) un credito entusiastico. 

L’aspetto più sorprendente del testo, tuttavia, è la sua attualità. Basta leggerlo (o, meglio, canticchiarlo) per rendersene conto.

I


Dall'alba quando spunta il sole 

speriamo sempre di sentir 

parole belle, ancor parole, 

ansiosi sempre d'applaudir.

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.

Come negli anni scorsi,

sentiamo ancor discorsi,

non comprendiamo niente, 

ma gridiamo follemente 

viva e abbasso con calor;

Appena parla un tizio

corriamo al suo comizio,

sbattiamo ognor le mani: 

le promesse sono belle, 

le parole sempre quelle: 

noi faremo, noi diremo, 

tante cose vi daremo. 

Noi diciamo: le daranno, 

ma poi niente non ci danno 

e battiamo ancor le man.

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.


II


Noi siamo della brava gente,

vogliamo solo un po' gridar, 

ma in fondo non facciamo niente, 

perché qui niente c'è da far.

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.

Ci dice ognun: vedrete,

se il voto a me darete,

vi do una vita rosa,

vi ribasso tutte cose,

ve lo giuro sull'onor.

E noi per questa gente

votiamo allegramente

ma dopo viene il bello

che più niente si riduce,

cresce l'acqua, cresce 'a luce

c'è l'aumento delle tasse,

mentre loro vanno a spasso

e pe' nuie manco p''o gas

nun ce sta mai nu ribasso,

e sbattiamo ancor le man.

Siamo il popolo che applaudisce

pur le cose che non capisce

perché presto d'intenerisce e trullallà.


III


Vediamo tutto color rosa 

quando sentiamo di parlar.

Se invece è tutta un'altra cosa 

che cosa ci possiamo far?

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.

Così tiriamo avanti,

crediamo a tutti quanti.

Per noi so’ tutti buoni,

se son bravi o son puzzoni,

noi corriamo ad acclamar.

Se questi se ne andranno,

con gli altri che verranno,

per noi sarà lo stesso:

grideremo da fratelli

come a questi, così a quelli,

come sempre correremo,

molte piazze colmeremo.

Con il viso aperto e gaio

ci prendiamo un altro guaio

e sbattiamo ancor le man.

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.


Finalino


Apriamo ognor le braccia 

a ognuno che s'affaccia

vogliamo sol gridare, 

con la nostra confusione 

roviniamo la nazione, sventolando le bandiere 

bianche, rosse, verde e nere, 

loro fanno li milioni, 

noi restiamo da fregnoni 

e sbattiamo ancor le man.

Siamo il popolo che applaudisce 

pur le cose che non capisce 

perché presto d'intenerisce e trullallà.

Un piccolo equivoco da chiarire

Una registrazione del brano «Siamo il popolo che applaudisce», parodia sulla musica di «Reginella campagnola», è stata pubblicata nel 2007 da Rai Trade all’interno di una raccolta di 5 CD, intitolata «Ciccio Formaggio, in arte Nino Taranto». 

Nel libricino che accompagna la confezione della raccolta, il brano viene presentato come segue:


IL POPOLO CHE APPLAUDISCE

testo di Nelli, musica di Eldo Di Lazzaro - (registrazione del 01/10/1946)

con Dolores Palumbo, Amedeo Girard e Michele Malaspina


Mentre l’attribuzione della musica a Eldo Di Lazzaro appare corretta - essendo il brano una parodia sulla musica di «Reginella campagnola», di cui Di Lazzaro è appunto l’autore - alla famiglia di Raffaele Cutolo non risulta l’attribuzione del testo a Nelli, pseudonimo di Francesco Cipriani Marinelli, autore, insieme a Mario Mangini, di numerose riviste degli anni 40, molte delle quali effettivamente interpretate da Nino Taranto.


L’attribuzione del testo - che i curatori della raccolta musicale assicurano di aver raccolto presso gli archivi dalla Siae - non corrisponde, tuttavia, alla memoria della famiglia di Raffaele Cutolo, al quale dovrebbe essere invece attribuita la paternità del brano.


A supporto di tale tesi, oltre al ricordo della famiglia, esistono peraltro alcuni elementi di fatto.



Non sappiamo perché la Siae riporterebbe l’attribuzione a Nelli - di cui, peraltro, fa testo solo l’indicazione della raccolta curata da Rai Trade - non essendo stato possibile avere dall’ente ulteriori indicazioni in materia, dal momento che i testi di «Com’era verde la nostra valle», gli unici cui gli eredi di Cutolo hanno diritto alla consultazione, «non sono presenti» nei suoi archivi (mail della sezione DOR del 27.02.2013).

È assai probabile, dunque, che l’attribuzione a Nelli e non a Cutolo nella raccolta di Rai Trade, così come quella - se confermata - degli archivi Siae, siano da considerare errate e dovute, probabilmente, alla confusione di una fase storica - quella dell’immediato dopoguerra - di convulse difficoltà.

Aprile

Siparietto tratto probabilmente dalla rivista «Com’era bello Aprile» (1950), in due tempi e 24 quadri(co-autore E. Paone) di cui non restano altre tracce

Fuori velario 

Attore al pubblico - Tanti e tanti poeti hanno descritto la grande bellezza del mese di aprile... E ogni donna ha sempre sentito nel sangue e nel cuore qualche dolce fremito. Ma quando? Quando tutto era veramente poetico... Anche adesso esiste della poesia, ma forse vista e sentita in un altro modo. Sentiamo un po' come la potrebbe interpretare la donna d'oggi.


(Attore aprirà il siparietto. In scena ci sarà un grosso libro. Sulla copertina ci sarà scritto: «Libro di poesie»)


Attore al pubblico - Incominciamo con l'adolescente. Ecco l'adolescente.


(L'Adolescente verrà fuori dal libro)


Adolescente al pubblico - Aprile: 

O Principe azzurro, 

chi è mai quel signore 

che porta nell'aria l'amore, l'amore?... 

È il mese gentile: l'aprile!... l'aprile! 

Sovente ti sogno, ti sogno, o diletto, 

ma dire non posso che avviene nel letto. 

Perché nella notte, così profumata, 

mi desto più volte sconvolta e sudata? 

È il mese gentile: l'aprile, l'aprile!


Attore al pubblico - Ed ora la stessa poesia più o meno come la potrebbe interpretare la donna di casa: la massaia.

Donna di casa al pubblico - Aprile: 

Mio caro consorte, chi mai ci ha portato 

le nuove cipolle col prezzo cambiato?... 

Le fave, le rape verdura a piacere, 

patate, carciofi, ma senza calmiere?... 

 Il mese gentile: l'aprile!... l'aprile! 

Chi è stato a portare sui banchi ribelli 

dei cari mercati gli amati piselli?

Quei ricchi piselli che a noi non permette 

perché li ha portati a cento lirette? 

Il mese gentile: l'aprile!... l'aprile!

Chi è mai che ci mette nel sangue l'ardore, 

 la smania d'amare, l'amore, l'amore? 

Con l'alba rosata, l'aurora vermiglia, 

chi è stato a ingrandire la nostra famiglia?... 

 Il mese gentile: l'aprile!... l'aprile!

Così questo mese, con fulgidi sprazzi 

d'amore, ci ha dato ben dieci ragazzi. 

Perciò lo stipendio, ch'è alquanto ridotto, 

se si ha il ventisette, finisce il ventotto. 

Che mese gentile l'aprile!... l'aprile!...


Attore al pubblico - Ed ora, la donna molto vissuta, la mondana. 


Mondana al pubblico - Aprile: 

O amante adorato, l'aprile fa amare, 

ma, ahimé, sono stanca, non so più sognare. 

Le viole del mese lasciamole ai terzi. 

Non darmi le viole, tu dammi i sesterzi. 

Son stanca!... È puerile la viola d'aprile!

Non dirmi ch'è eterna la nostra catena, 

non farmi promesse, ma portami a cena. 

Lo so che l'aprile t'invita ad amare. 

L'amore è assai bello, ma è meglio mangiare. 

Sol questo è gentile: la cena d'aprile!... 

Più non mi sconvolge l'uccello che canta, 

più nulla mi prende, più nulla m'incanta.

D'aprile nei boschi, fra tante avventure, 

d'uccelli ne ho visti di tutte misure. 

Non voglio, è puerile l'uccello d'aprile!...

D'aprile la caccia neppur dà emozioni, 

coi negri ho colpito pantere e leoni. 

Che strage di belve coi negri ho fatto io!... 

Che ho fatto coi negri lo sa solo Iddio. 

Son stanca!... È puerile la caccia d'aprile.

E neanche la pesca ,d’aprile più bramo, 

più non mi seduce la canna con l'amo. 

Se pure ne pesco qualcun, mi rincresce!... 

Che cosa ne faccio? Che fo' con un pesce?!... 

 Lo butto. È puerile! È un pesce d'aprile. 

Pastorelli in città

Lo sketch faceva della rivista «Scampoli» (1944) e fu interpretato da Nino Taranto, Dolores Palumbo, Enzo Turco e Michele Malaspina. La scenetta rappresentava due pastori di creta usciti dal presepe per andare in città, un pretesto per ironizzare sulle difficoltà della guerra - peraltro ancora combattuta a Nord della Linea Gotica - dall’aumento dei prezzi alla borsa nera, dalle ruberie dei gerarchi fascisti in fuga al coprifuoco. Dello sketch esistono diverse versioni, adattate dagli autori alla fase politica e alla località dove avveniva la rappresentazione.

La versione che segue proviene dal dattiloscritto originario della rivista.

Taranto - ( trascinando la pastorella per la mano ) Cammina, cammina, pare che hai le gambe ingessate!

Palumbo - Ma sei un bel tipo, Marcantonio mio! Ma che facciamo? Camminiamo sempre? Io tengo pure famma!

Taranto - Solo questo sai dire, solo questo! Adesso domandiamo a qualcuno dove sta quest’osteria!

Palumbo - Ma a chi vuoi domandare, Marcantonio mio, non vedi che qua non ci dà retta nessuno?

Taranto - E che la colpa è mia?

Palumbo - Te l’ho detto che la città non è per noi!

Taranto - Sei sempre l’eterna scontenta! Sul presepio ti lamentavi che non era vita per noi, che non vedevi l’ora di venire in città; e adesso che stiamo in città…

Vigile - ( entra e gironzola intorno ai due pastorelli con aria sospettosa )

Taranto - ( piano a lei ) Angelarò, questo ce l’ha con noi.

Palumbo - ( impaurita ) Sì, è vero. proprio con noi.

Vigile - ( al pastorello ) Documenti!

Taranto - Come?

Vigile - Documenti! Documenti! Le vostre carte!

Taranto - Quali carte?

Vigile - Fuori i documenti! Fatevi riconoscere!

Taranto - E questo è il guaio. Qua non ci riconosce nessuno!

Vigile - Insomma, poche chiacchiere! Chi siete? Da dove venite? Cosa fate qui? Perché non avete documenti? Chi può stabilire la vostra identità?

Taranto - Piano, piano, quanta roba! Una cosa per volta.

Passante - ( alquanto brillo, attraversa la scena e si avvicina al pastorello ) Paesà… Ossignoria ( e saluta ).

Vigile - Avanti, avanti, cammina (e spinge lievemente il passante che si allontana e scompare) Dunque, parlate e non mi fate perdere tempo e pazienza!

Taranto - ( piano a lei ) Mo’ la perdo io la pazienza! ( forte ) Ecco qua, signor generale… ( lazzi ) Noi siamo due pastorelli, due poveri pastorelli…

Palumbo - Che si trovano sperduti in mezzo alla confusione della città.

Vigile - Ma allora perché ci siete venuti?

Taranto - Non ci siamo venuti… Ci hanno mandati…

Palumbo - Ci hanno detto, andate, andate in città perché qui non siete più sicuri.

Taranto - La cosa buffa non è questa: è che prima quelli della città le mandavano fuori, adesso invece quelli di fuori li fanno venire in città. Tu mo’ che mi sembri una persona istruita che ci consigli: dentro o fuori?

Vigile - E che vi posso dire? Da una parte e meglio stare dentro e dall’altra forse è meglio star fuori!

Palumbo - Marcantò, tu che dici?

Taranto - Mezzo dentro e mezzo fuori!

Vigile - Insomma siete sfollati!

Taranto - Già.

Vigile - Vi hanno fatto evacuare!

Taranto - Anche

Vigile - E da dove venite?

Taranto - Ecco qua, noi stavamo sul presepio!

Vigile - Sul presepio?

Taranto - Siete cristiano voi? Avete mai visto un presepio?

Vigile - Sicuro, ma…

Taranto - Oh! Sia benedetto il cielo! Noi stavamo sul presepio! Ma che volete, signore mio; di questi tempi nemmeno sul presepio si può stare! uno squallore, vi dico, uno squallore!

Palumbo - Specialmente questo Natale scorso, non vi dico, non c’era rimasto più nessuno!

Taranto - Tutti sfollati! E allora noi pure abbiamo detto: E che facciamo? Che aspettiamo che ci sinistrino? E così siamo sfollati anche noi.

Vigile - Ma non sapete che per stare in città,. anche per gli sfollati occorre un permesso?

Taranto - Un permesso di chi?

Vigile - C’è un ufficio apposta!Andate e ve lo rilasceranno!

Palumbo - Si, va bene. Vi andremo e celo faremo rilasciare, ma questo dopo… prima andiamo a mangià, perché tengo famma!

Taranto - Sissignore, va bene, andiamo a mangiare! Basta che ’a fernisce! ( al vigile ) Scusate, voi sembrate una persona per bene. Ci hanno detto che c’è una buona osteria in Via del Confalone! Dove si trova questa via?

Vigile - ( consultando la guida ) Confalone, Confalone, Confalone! No! Via del Confalone non c’è!

Taranto - Come non c’è? Ci sono stati certi pastori paesani nostri nla settimana scorsa c’era. Com’è sparita?

Vigile - La settimana scorsa c’era, ma adesso non c’è più! Cioè, per meglio dire c’è ma non si chiama più Via del Confalone. Le hanno cambiato nome!

Taranto - E come si chiama adesso?

Vigile - Fino alla settimana scorsa si chiamava Via del Confalone, quattro giorni fa: Via del Canalone e stamattina…

Taranto - Via della Confusione!

Passante - ( ritorna barcollando e si riavvicina al pastorello ) Paesà, ossignoria… ( e saluta )

Vigile - ( al passante ) Ti ho detto cammina, cammina che non è aria… (il passante va via)

Palumbo - E dove si trova questa confusione che io tengo famma?

Taranto - Sangue della miseria, ma solo questo sai dire: Tengo famma?

Vigile - E poi, scusate se intervengo, mi pare che il consorte ha ragione! Senza contare che, scusate, eh! è pure un poco volgaruccio sentir dire da una donna: tengo famma!

Palumbo - E allora: posseggo appetito. Va bene?

Taranto - Io so che quando passa l’orario che io dovrei mangiare, mi si chiude lo stomaco e non se ne parla più, ma tu, sangue della miseria, lo stomaco ce l’hai sempre aperto. E fai un po’ di chiusura festiva! Che ti credi che stiamo sul presepio? Qua stiamo in città!

Palumbo - Perché in città non si può avere fame?

Vigile - Beh! In ogni modo domani procuratevi questo permesso e mettetevi a posto con i documenti, se no passerete un brutto quarto d’ora! Qui non stiamo sul presepio. Qui si vive in un’altra maniera.

Attore - ( sarà entrato sulle ultime battute del pastorello rivolto al vigile sottovoce ) E non glielo dite come viviamo! Non li avvilite di più. Sono già tanto addolorati per aver lasciato il loro casolare! Chiudete un occhio e lasciate correre! Una volta tanto! ( forte ) Anch’essi soffrono, anch’essi hanno un cuore…

Taranto - E come… ( alla pastorella ) Angelarò, ci domanda se abbiamo un cuore.

Palumbo - Io tengo famma!

Taranto - Che ti pigli un accidenti!

Passante - ( rientra barcollando e si avvicina al pastorello ) Paisà…

Vigile - ( assieme all’altro attore trascinando via il passante brillo ).

PASTORELLI (Musica)


Palumbo - Dov’è il presepio antico, la roccia coi ruscelli…

Taranto - … la stella guidatrice, i Magi coi cammelli?

Palumbo - Dov’è, dov’è il pastore che andava un dì alla grotta

che in dono un dì portava ’na sporta di ricotta.

Taranto - Se adesso non la porta, quel tale non è un vile, cu’ chisti prezzi ’e cielo: 300 lire ’o chilo.

Palumbo - Adesso nel presepio è chiusa pure l’osteria…

Taranto - … e non c’è più neppure ’o cacciatore, bella mia.

Palumbo - Finanche ’o zampugnaro più non suona, che vergogna!

Taranto - Nun sona perché forse mo’ nun tene cchiù’a zampogna.

Palumbo - Adesso sul presepio poche cose son restate…

Taranto - … se so’ purtate tutto chilli llà ca so’ scappate.

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.


Palumbo - Dov’ la lavandaia sul rustico balcone?

Taranto - Adesso più nun lava, nun tene cchiù ’o sapone.

Palumbo - Dov’è quel pecoraro che andava alla capanna…

Taranto - … portando la buonanima del latte con la panna?

Palumbo - Se lo portasse adesso sarebbe una tristezza… Taranto - … prima era tutto burro, adesso è una schifezza.

Palumbo - Non porta a pascolar le pecorelle più il pastore…

Taranto - … quest’anno ’e pecorelle se ll’ha fatte a ’a cacciatora

Palumbo - E non ci sono più neppure il bue e l’asinello…

Taranto - … già ll’hanno macellate e l’han vendute per vitello.

Palumbo - Quest’anno molte cose sono state un po’ ristrette…

Taranto - Cca invece ’e mezanotte ’o Bammenniello nasce ’e sette.

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.


Palumbo - Con il nuovo Natale noi speriamo di tornare

Taranto - Veder la nostra stella nuovamente di brillare

Palumbo - Trovare sul presepio tutto calmo, tutto bello

Taranto - La lavandaia, il pastore, l’oste il bue e l’asinello.

Palumbo - Che sia finito tutto: tristi, pianti, schianti e lotte. Taranto - Che finelmente nasce ’o Bammeniello a mezanotte!

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.

Lorem

In una seconda versione del cantato, che reca il timbro della censura della Repubblica sociale italiana (visibile qui sopra), la parte finale della prima strofa - quella con ci sono i riferimenti alle ruberie - è stata cambiata interamente e sostituita con la seguente:

Palumbo - Neppur lo zampognaro sul presepio non appare…

Taranto - … perché gli hanno levato la llicenza per suonare.

Palumbo - Soltanto il cacciatore si fa ancor la sparatella…

Taranto - … lui tutt’’e notte spara e nuje sentimmo ’a tarantella.

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.

Un’ulteriore versione, la cui registrazione è conservata presso l’Archivio sonoro della Canzone napoletana, curato da Paquito Del Bosco, è una versione successiva, sicuramente posteriore al referendum istituzionale del 2 giugno 1946, dal momento che si parla del Presidente al posto del bambinello.

Palumbo - Dov’è il presepio antico, la roccia coi ruscelli…

Taranto - … la stella guidatrice, i Magi coi cammelli?

Palumbo - Dov’è quel pecoraro che andava alla capanna…

Taranto - … portando la buonanima del latte con la panna?

Palumbo - Se lo portasse adesso sarebbe una tristezza… 

Taranto - … prima era tutto burro, adesso è una schifezza.

Palumbo - Adesso nel presepio molte cose sono cambiate…

Taranto - … le usanze di una volta si son tutte trasformate.

Palumbo - Pastori e pastorelli come prima chiano chiano

Taranto - … so’ andati alla capanna anche quest’ultimo Natale…

Palumbo - … ma invece di portare l’oro e i doni al Bambinello

Taranto - … se so’ rubati il bue ’a mangiatoia e l’asinello

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.


Taranto - Adesso sul presepio rinnoveranno tutto…

Palumbo - Cambieranno la grotta, la grotta del Messia…

Taranto - … cambieranno il ruscello la stella e l’osteria.

Palumbo - Le pecore soltanto non cambieranno mai…

Taranto - … perché in fatto di pecore qua stiamo a posto assai. 

Palumbo - Mo’ cambieranno tutto, rifaranno tutto bello

Taranto - … la lavandaia, il pastore, l’oste, il bue, l’asinello…

Palumbo - … e cambieranno pure la famosa pastorale…

Taranto - … che per il Re dei re rappresentava ’a Marcia reale…

Palumbo - … e invece del Bambino, del Messia, l’Onnipotente…

Taranto - … quest’anno nella grotta metteranno ’o Presidente.

A due voci - Ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullero, ullà.


Palumbo - Ormai con l’avvenire che ci dà la nuova stella…

Taranto - … non piange più il pastore, più non piange ’a pastorella…

Palumbo - … adesso sul presepio tutti i pianti so’ finiti…

Taranto - … la lacrime dagli occhi dei pastori so’ sparite…

Palumbo - … perché i tre grandi Magi per vederci ben piazzati… 

Taranto … dagli occhi pure ’e llacreme da nuje se so’ pigliate.


(parlato)

Palumbo - Marcanto’, andiamo che tengo fame

Taranto - Nina, questa famme, sempe cu’ la famme…

Palumbo - Ma che vuoi, se nun mangio, nun me passa….